Sempre affascinanti le escursioni sulla Laga ma anche sempre “incasinate”, infrattate, da dove le prendi queste montagne ti riservano
sempre un dedalo di tracce, di boscaglia, di fossi, di boschi interminabili; la direzione la si conosce sempre, le vette sono lassù,
sull’orizzonte, linee conosciute e frequentate, poi una volta che inizia l’avvicinamento, soprattutto se si parte dal basso, si viene
sopraffatti subito dalla vegetazione, da un territorio confuso, da fossi profondi che per aggirare sei costretto a fare giri immensi e
il territorio si trasforma in un unicum quasi senza possibilità di essere letto. Anche oggi è stato più o meno così, solo quando sei
sulla via del ritorno la traccia ritorna ad apparire semplice e quasi scontata, ma prima …. prima è sempre una roba grossa, da prendere
con le pinze, dalle mille scelte e possibilità di sbagliare direzione. Per fortuna oggi ci hanno aiutato le segnaletiche, precise e ben
disposte sui tanti incroci che abbiamo incontrato, era una prima volta e senza sarebbe stato davvero un problema trovare la linea giusta.
Parcheggiamo nella piazzetta di Voceto, a pochi metri dalla chiesetta devastata dal terremoto, esattamente accanto alla chiesetta, sulla
strada del piccolo borgo, inizia il sentiero per il Cavallo di Voceto, la nostra meta di oggi. I profili della Laga lassù in alto
finiscono intorno ai 1900m, dense nubi stendono una coperta uniforme, c’è solo da sperare bene anche perché la meta di oggi era stata
scelta cercando di dribblare un meteo piuttosto capriccioso.
Sfilano le poche case del borgo, la strada si fa sterrata contornata da roverelle e nel giro di quindici minuti si raggiunge il primo
incrocio con tanto di palina segnaletica, che prendiamo a sinistra; senza grossi dislivelli e dentro un bosco ormai continuo si arriva
nei pressi di capanna Molinaro (+50 min.), ormai una capanna diroccata e in disuso, poco più avanti una stazione di intercettamento delle
acque pluviali dell’Enel prende lo stesso nome; poco prima di capanna Molinaro un bivio con altra palina segnaletica indica una salita
sulla destra che si stacca a gomito dalla sterrata, quasi non si vede. La imbocchiamo e continuando in salita cominciamo a intravedere i
primi fossi della Laga, incastrati nel dedalo di versanti, scendono uno vicino all’altro a formare un labirinto selvaggio. Sempre su una
sterrata ora meno lineare e con qualche strappo ripido da superare raggiungiamo un ulteriore bivio (+ 25 min.), questo davvero per niente
intuibile se non fosse per la palina segnaletica posta proprio al suo incrocio. La traccia si stacca dalla sterrata, è sottile e ingombra di
rovi e sterpaglia, quasi sembra impraticabile fino a che non si entra in un buio sottobosco dove il sentiero ritorna chiaro proprio in
corrispondenza di una bandierina bianco rossa. Da qui la traccia non ha più deviazioni, diventa meno lineare ma tra paletti a terra, qualche
segnale e la traccia che a volte sparisce nell’erba alta non si manifestano più grandi margini di dubbi; si rimane ora dentro e ora fuori la
boscaglia, si attraversano alcuni piccoli fossi e quando si esce definitivamente dalla faggeta alle spalle, oltre la profonda valle del fosso
Molinaro ci ritroviamo i ripidi contrafforti e i tanti strettissimi fossi che degradano dalle coste del Sevo. La Laga stava prendendo i suoi connotati selvaggi e suggestivi.
Vari salti di quota, alte praterie e scavati sentieri ci portano sui margini dei ripidi pendii che scendono verso il fosso Molinaro. Sul versante
opposto la montagna si ramifica in versanti verticali, ognuno diviso da fossi ancora più ripidi, tutto precipita dentro fosso Molinaro; una
stretta dorsale tra quelle che ci si chiudono è il tratto finale del Cavallo di Voceto che però in quel momento non avevamo ancora individuato.
Seguiamo in un tratto quasi pianeggiante a mezza costa sulla profonda valle del fosso di Molinaro, andiamo a confluire dove la valle stessa
salta di quota e si fa stretta, una schematizzazione semplice che non descrive la complessità del territorio che si scompone e ramifica in un
dedalo di canali e fossi indefiniti, l’uno che confluisce nell’altro; è incredibile la Laga, ogni volta e dovunque la prendi quando ti ci infili dentro ti incute soggezione.
Superando qualche salto di roccia, mai nulla di trascendentale, raggiungiamo il fosso e lo attraversiamo proprio dove si alza di nuovo repentino
e si infila tra il versante del Lepri e quello del Cavallo di Voceto, è asciutto ovviamente, qualche pozza resiste alimentata da piccoli rigagnoli
silenziosi, ovunque sono ammucchiate cataste di tronchi trascinate a valle probabilmente dalla furia dello scongelamento primaverile.
Il sentiero risale dall’altra parte, molto ripido ma facile, come ci si alza e si inizia a girare attorno allo spigolo gli orizzonti ad Ovest
si aprono sopra la valle fino alla piana di Amatrice, verso monte una ragnatela di fossi, larghi e stretti, ora ripidi ora con grandi salti di
arenaria formano una mappa di segni profondi che incidono la montagna, insospettabili e improbabili rughe che da valle non si intuiscono; sopra
il sentiero da dove siamo venuti e su versante opposto, grandi balze rocciose affiorano e sporgono nel vuoto; non c’è più nulla di veramente
selvaggio nei nostri Appennini, ma se qualcosa di vagamente primordiale ancora esiste si trova su queste montagne.
Dopo un traverso che si alza velocemente si entra in un bosco basso e girando intorno allo spigolo in stretti tornanti si guadagna agevolmente
quota fino a finire su lembi di cresta erbosi, l’inizio di quello che sulle carte viene chiamato sulle carte il Cavallo di Voceto, un chilometro
o poco più di cresta erbosa con alcuni salti di quota rocciosi più repentini che si va infilando e sollevando tra i fossi che scendono dalle
pendici del Sevo a sinistra e tra quelle del Lepri a destra; le nuvole dense, scure che si alzano sopra quota 1900 non aiutano a definire le
vette più alte, vista così la Laga appare come un infinito inseguirsi di montagne sempre più alte, una sopra e accanto all’altra divise da valli,
rughe e fossi, sempre ripide e insidiose, cambia la prospettiva quando la vista è chiara e l’orizzonte è formato dalle linee delle creste e delle
cime conosciute, oggi a tratti sembra di stare in un territorio sconosciuto. Continuiamo a salire per cercare di raggiungere il vado di Annibale,
solo per pochi momenti è scoperto e fuori dalle nuvole ma non è un problema perché conoscendolo intuiamo l’ampia sella tra le due piramidi del
Sevo e del Lepri; il problema stava diventando il meteo però, critico fin dall’inizio andava peggiorando repentinamente tanto da minacciare pioggia,
le nuvole si addensano e si spalmano sui pendii ormai arsi dall’autunno che si sta avvicinando contribuendo a creare una atmosfera chiusa, lugubre
ma estremamente intrigante e affascinate; la dorsale del Cavallo di Voceto si perde lentamente nei contrafforti del Lepri, si entra nella valle
che da sul vado di Annibale dove la traccia si fa confusa forse a causa della bassa frequenza tanto che a tratti sparisce inghiottita dalla
prateria. Aumenta il vento e aumenta la sensazione di freddo, infiliamo i gusci, proviamo a continuare a salire ma demordiamo ad un chilometro
dalla meta (+1,50 ore), il vado sembra essere definitivamente inghiottito da scure nuvole, nonostante il forte vento non danno sensazione di
aprirsi e non c’era senso rischiare la pioggia in mezzo a quelle praterie e su quei ripidi pendii. A meno di un chilometro dal vado rigiriamo per
tornare indietro, a tratti perdiamo la traccia appena percorsa tanto è poco definito il sentiero ma riguadagniamo la cresta. La valle è inondata
dalla luce, noi eravamo al buio, il forte contrasto aumenta l’isolamento e la forza di questi ambienti, complicati da affrontare ma così
elettrizzanti da non riuscire di staccarci gli occhi. Quando si è lassù le linee di cresta e le alte vette tante volte frequentate sono rassicuranti,
danno riferimenti, linee da seguire, qua sotto, nel mezzo di questi versanti immensi e rugosi ogni riferimento si rischia di perderlo, se quelle
nuvole fossero scese ancora l’unico elemento cui affidarsi sarebbe stata la traccia del GPS. E il selvaggio bellissimo della Laga.
La traccia di rientro è la stessa percorsa all’andata, scesi dalla dorsale del Cavallo di Voceto e attraversato il fosso l’impressione è quella
di doversi far strada in un “frattone” immenso, in un labirinto continuo, anche le tracce del sentiero, almeno fin tanto non si raggiunge la
prima sterrata, sembrano a momenti non avere senso, viene da chiedersi chi le abbia usate, perché le abbiano costruite. Uno sguardo indietro
ed è evidente dove inizia il Cavallo di Voceto, tra quelle rughe delle montagne alla fine le chiavi di lettura ci sono, difficile muovercisi
e ricordarle se rimani però lontano troppo a lungo.
Al rientro facciamo una piccola deviazione per raggiungere capanna Molinaro, chissà cosa ci credevamo, rimane una piccola catapecchia diruta,
poco più avanti ha preso lo stesso nome una quasi abbandonata stazione Enel che ha ben poco ormai da intercettare da quel fosso. Quando rientriamo
(+2ore) iniziano a scendere le prime gocce di pioggia, lassù e ancora come lo avevamo lasciato, chiuso e buio; la Laga è questa, anche
quando non raggiungi nessuna meta ti sembra sempre di aver vissuto una avventura.